La scuola parentale: progettarsi tra limiti e confini

Qualche giorno fa, un quotidiano nazionale ha pubblicato un articolo su un’esperienza di scuola parentale di cui ha sottolineato aspetti connotati negativamente, gettando di fatto discredito in maniera più generale su questo tipo di scelta. 

Quindi voglio condividere alcune riflessioni. 

Da qualche anno a questa parte molti genitori hanno manifestato attenzione verso scelte che garantiscano spazi, tempi e atmosfere che facciano stare bene i propri figli. E un numero elevato di loro non ha trovato risposta nella scuola convenzionale, dove capita spessa che manchi una visione pedagogica e in cui gli interventi educativi sono ormai di frequente il risultato di bilanci, essendo oggi la scuola considerata di fatto alla stregua di un’azienda, che pare fatichi non poco a prendersi cura dei cittadini più piccoli. Aumentano le famiglie che non sono più disponibili a scendere a compromessi e la mancanza di fiducia accelera le scelte alternative. Scelte che nascono da un libero sentire, dall’urgenza, da quel desiderio profondo, a volte ingenuo di rincorrere la felicità per i propri figli. 

Questo è ciò che ho pensato dopo la lettura dell’articolo, accompagnato da un video che ha ripreso i giornalisti mentre si fingevano genitori e sono entrati così in quella scuola. Ho quindi cercato di capire come possono essersi sentiti quelle famiglie e quegli educatori che portano avanti il progetto sicuramente con passione. 

Costruire, organizzare e gestire contesti per il benessere della persona non è facile, perché siamo difronte a un sistema educativo che crede nell’avere e non nell’essere, che vede il corpo solo come oggetto di interventi “curativi” e “correttivi” e dove la correlazione tra emozioni e apprendimento continua a essere confusa con la stregoneria. È un peccato doversi rendere conto che spesso il sistema educativo “convenzionale” non vede bambini e ragazzi come persone e quindi non ritiene importante il loro piacere come centro del loro stesso divenire. 

A fronte di questo panorama desolante (ovviamente ci sono le eccezioni), si sperimentano e si condividono soluzioni, si creano nuove opportunità, quale la scuola parentale. Un progetto di scuola parentale ha nel suo centro, che possiamo chiamare cuore, il bisogno di protezione e di sicurezza per tutti i bambini e gli adulti che vi partecipano. 

Occorre che protezione e sicurezza siano rivestite di un involucro caldo che è la coerenza; si rivendica la capacità di muoversi con la consapevolezza di sapere che la libertà è quella di affermare le proprie scelte, dentro un quadro di legalità. Bene, credo che oggi bisogna essere capaci di costruire opportunità alternative, riconoscendo che, in quanto scelte fuori dal coro, si incontrano e si incontreranno ostacoli, limiti oggettivi e soggettivi. E credo anche nell’assoluta necessità che tutto ciò si diriga verso il massimo della correttezza e della legalità. 

Rischiare fa parte della vita di tutti noi, ma occorre essere consapevoli che determinati rischi, se non sapientemente gestiti, possono trasformare una nostra intenzione in una corsa affannosa in mezzo alle sabbie mobili, trasformandosi in pericoli. 

Da quando mi occupo di consulenze per progetti di scuola parentale, ho voluto a fianco un legale, l’avvocato Gabriele Bordoni, per sottolineare e rafforzare lo stretto intreccio che occorre costruire tra intenzionalità pedagogica e aspetti legali. 

Quindi, al bando l’improvvisazione, occorre invece custodire le esistenze dei bambini, attraverso esperienze che siano pensate e osservate da adulti competenti e consapevoli, che camminano al loro fianco, incoraggiandoli e accompagnandoli nel qui e ora, ma con uno sguardo sempre rivolto sul futuro. Per andare nella direzione del futuro, c’è bisogno di forti radici e di muri spessi altrimenti anche solo piccoli aliti di vento possono impedire di continuare il cammino. 

La sicurezza e la tutela sono anch’esse dimensioni educative. La strada per organizzare le scuole parentali deve partire dalla volontà degli adulti che si adoperano per costruire un luogo sicuro, in cui si possa essere liberi non solo perché ribelli, ma perché capaci di affermare con determinazione le scelte che si ritengono giuste dentro una cornice in cui la norma è limite ma al contempo confine (dal latino cum-finis), la cui etimologia indica qualcosa che separa ma allo stesso tempo che unisce; qualcosa che ha una fine ma che crea il presupposto per la nascita di qualcos’altro. 

Il confine come ponte per fare nascere punti di vista ed esperienze forti perché ragionate e decise perché sentite. 

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